Por Irene Di Noto |
CRÍTICA URBANA N.12
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«Roma è una città piena di gente senza casa e di case senza gente. L’emergenza abitativa riguarda 57mila famiglie, pari a 200mila persone, a fronte di 34.500 unità alloggiative sfitte o invendute (Associazioni dei Costruttori Romani, 2018). Secondo i dati Istat, nel 2018 sono state censite 8mila persone senza fissa dimora, che salgono a 15mila contando chi vive in baracche, roulotte e abitazioni fatiscenti spesso senza acqua corrente né energia elettrica. 5mila sono i rom nei campi, 1.400 le famiglie nei Centri di Assistenza Alloggiativa Temporanea, più di 13mila famiglie sono in graduatoria per un alloggio popolare. Tra le 10 e le 12mila persone vivono in 70 stabili occupati, organizzati in gran parte con i movimenti di lotta per il diritto all’abitare.”
Sin dalla fine degli anni ‘60, la battaglia per il diritto alla casa è stata una costante delle lotte sociali nella capitale[1]. Se all’inizio degli anni ‘80 vennero demolite tutte le baracche attraverso un imponente piano di edilizia pubblica, negli anni ‘90 gli insediamenti informali sono tornati a crescere con l’arrivo dei profughi balcanici e di migranti dall’Europa dell’Est. La crisi abitativa si è riacutizzata agli albori del nuovo millennio, anche a causa del taglio dei finanziamenti per l’edilizia residenziale pubblica, della dismissione degli immobili di enti previdenziali e con l’approvazione della legge n. 431 del 1998 (“Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo”) che ha abolito l’equo canone.
L’esperienza dei Blocchi Precari Metropolitani (BPM)[2] nasce nel 2007 dall’incontro tra attivisti, studenti e precari spinti dalla necessità di autorganizzarsi rispetto alle istanze degli irrappresentabili, di quelle migliaia di persone cioè che producono ricchezza nella metropoli ma che vengono escluse dal godimento di ogni diritto.
Attraverso le pratiche di riappropriazione di spazi vuoti destinati alla speculazione, gli occupanti hanno recuperato reddito indiretto[3] rivendicando al contempo il diritto alla città. Denunciando l’assenza di politiche abitative pubbliche e di un welfare urbano da un lato, e dall’altro lo strapotere dei gruppi economici e finanziari, sopraggiunti agli storici palazzinari romani nel disegno urbanistico della città.
Tra i 10 immobili occupati dai BPM ci sono stabili pubblici confluiti nei fondi di valorizzazione e strutture private destinate alla speculazione immobiliare attraverso cambi di destinazione d’uso, aumenti di cubatura e un’urbanistica deregolamentata.
Con la crisi del 2008, in particolare, l’aumento degli affitti e la perdita dei posti di lavoro hanno prodotto un aumento degli sfratti per morosità incolpevole e migliaia di disoccupati senza tutele. E mentre si andava formando un esercito di working poor, a Roma la battaglia per il diritto all’abitare riprendeva un nuovo slancio all’interno delle lotte più generali per il reddito, la sanità, i trasporti, lo studio trovando nuove complicità intorno allo slogan “Noi la crisi non la paghiamo!”.
La riapertura dell’offensiva nazionale sulla emergenza abitativa lanciata dalla rete Abitare nella Crisi, sostenuta da migliaia di picchetti antisfratto e decine di nuove occupazioni in numerose città, ha portato i movimenti romani a promuovere una nuova stagione di riappropriazione alla fine del 2012, occupando contemporaneamente numerosi stabili con 4 successive giornate di lotta ribattezzate “tsunami tour” per il diritto all’abitare[4].
Erano i tempi delle piazze di #occupy, del confronto sulla crisi del neoliberismo e del suo vorace modello di sviluppo con i movimenti sociali urbani in Grecia e in Portogallo, con gli spagnoli del 15M, i dublinesi di “Take back the city” e i londinesi di “Focus E15 . Nonché di condivisione delle pratiche di lotta contro le politiche di austerity, la distruzione del welfare, la mercificazione dello spazio urbano.
La grande mobilitazione per il diritto all’abitare ha avuto come contromossa l’inasprimento del controllo sociale e i tentativi di criminalizzazione delle occupazioni, anche attraverso iniziative legislative mirate. Su tutte, l’infame art 5 a firma Renzi-Lupi contenuto nel decreto “Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015”, convertito in legge nel maggio 2014. Una misura che nega l’iscrizione anagrafica e l’allaccio delle utenze (acqua, luce e gas) a chi vive in uno stabile o in un alloggio occupato. Fino ad arrivare alle attuali leggi sulla Sicurezza urbana, che in nome della legalità e del decoro vorrebbero porre fine alle esperienze di autorganizzazione[5].
Nonostante i tentativi di dispiegare un piano di sgomberi serrato, a Roma la partita è ancora aperta. I movimenti sono riusciti a costringere le amministrazioni comunale e regionale a procedere verso interventi concreti, contrastando il rischio di ridurre la questione abitativa a un problema di ordine pubblico. La battaglia è quella per politiche strutturali che consentano di superare l’approccio emergenziale utile solo a garantire i profitti di un business che si alimenta sulla pelle dei più poveri.
Al contempo, la legittimità delle occupazioni abitative è forte all’interno dei territori dove agiscono come propulsori di battaglie sociali e come anticorpo alle spinte razziste, fasciste e securitarie. Intrecciando relazioni con scuole, presidi sanitari e sociali e attivando iniziative culturali e sportelli di tutela, non nella dimensione dell’offerta di servizi quanto piuttosto nella possibilità di sperimentare l’autorganizzazione di comunità solidali.
Come dimostrano il MAAM, il Teatro Caos e la biblioteca Mondo Piccolo, il valore di queste esperienze va ben oltre la capacità di garantire un tetto sulla testa a chi vive di precarietà. Le occupazioni sono di fatto uno spazio pubblico di incontro e confronto orizzontale, non normato dall’alto ma praticato con i corpi e i desideri di chi ci entra in relazione e decide di dare il proprio contributo. Per combattere il neoliberismo e le disuguaglianze, per ripensare insieme la città in modo più vivibile e accogliente.
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MAAM (Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz_città meticcia)
L’occupazione di Metropoliz sorge a ridosso del quartiere di Tor Sapienza, nella periferia est di Roma. L’ex salumificio Fiorucci, abbandonato per oltre 20 anni, rinasce a una nuova vita il 27 marzo del 2009 con l’arrivo di circa 200 precari e studenti italiani, migranti e rifugiati, a cui 8 mesi dopo si aggiungono una ventina di famiglie rom[6]. Gli abitanti hanno bonificato l’area e recuperato gli spazi ad uso abitativo, destinando il vano terra del corpo centrale della fabbrica ad attività sportive, sociali e culturali. La sperimentazione della città meticcia ha innescato l’interesse da parte delle università romane e non solo, anche in seguito alla realizzazione del documentario Space Metropoliz[7]. Da questa esperienza, nel 2012, è nato il MAAM, Il Museo dell’altro e dell’altrove di Metropoliz_città meticcia. Un museo abitato e relazionale a cui oltre 500 artisti provenienti da tutto il mondo hanno donato le loro opere per costruire una barricata contro ogni ipotesi di sgombero, rispondendo a una chiamata alle arti fatta dall’antropologo Giorgio de Finis[8].
Il MAAM, come il campo di calcetto, il doposcuola e altre attività strutturate è gratuito e aperto al territorio. Intanto nel 2018 la proprietà di Metropoliz, la multinazionale Salini-Impregilo (che opera nel settore delle costruzioni e dell’ingegneria), ha ottenuto in sede civile il riconoscimento a un risarcimento di 28 milioni di euro per il mancato sgombero. Con l’obiettivo di abbattere un bene di archeologia industriale per costruire nuove case in un quartiere dove si contano centinaia di appartamenti privati vuoti.
Al diritto proprietario e al valore di scambio, i BPM oppongono il valore d’uso di uno spazio diventato pubblico e di interesse collettivo. A prescindere dal programma e dalle singole iniziative[9], infatti, ogni sabato il MAAM diventa una piazza dove tante persone si ritrovano per condividere momenti di discussione e convivialità nella cucina meticcia, luogo di incontro e relazione tra gli abitanti, attivisti, artisti, visitatori, amici e passanti.
Teatro Caos
Teatro Caos è uno spazio culturale e sociale inaugurato nel settembre 2018 all’interno dell’occupazione di via di Casal Boccone 112. Si tratta dell’ex casa di cura “Roma2”, che fino al 31 dicembre 2011 ospitava 60 anziani, un centro d’eccellenza per malati di Alzheimer, dismesso dall’amministrazione Alemanno nonostante le proteste del personale medico, degli infermieri e dei familiari dei degenti che si sono battuti strenuamente contro la chiusura del servizio.
Nel gennaio 2012 i BPM decidono di occuparla, con l’appoggio e il sostegno di numerosi abitanti del territorio e degli ex lavoratori, rivendicando la custodia sociale di un bene pubblico destinato al degrado e alla speculazione. Le due palazzine di proprietà dell’Enpals, infatti, sono state conferite all’interno di un fondo specializzato nella valorizzazione degli immobili pubblici gestito dal gruppo Fimit. Inoltre sono collocate in un’area verde che un Piano di zona dell’era del sindaco Veltroni ha destinato a edilizia residenziale privata.
Le circa 150 famiglie che autogestiscono lo stabile e provvedono alla manutenzione del parco intorno hanno deciso di destinare alcuni spazi alla socialità, attivando da subito una ludoteca e un laboratorio di serigrafia.
Più di recente, grazie alla collaborazione tra diversi abitanti di Casal Boccone e del territorio è stato possibile recuperare un nuovo spazio per il quartiere: il Teatro Caos, che ospita anche una scuola di scrittura gratuita e popolare[10]. Il laboratorio del progetto di teatro popolare è curato dal gruppo Arti Performative di Grande Come Una Città, un movimento politico-culturale che coinvolge numerose realtà del Municipio 3.
Biblioteca popolare Mondo Piccolo
Nell’occupazione di viale delle Provincie[11], a poche centinaia di metri dalla stazione Tiburtina e dall’università La Sapienza, è nata la biblioteca popolare Mondo Piccolo. Un luogo di incontro di cui si prendono cura gli abitanti, circa 400 italiani e migranti che si autogestiscono attraverso un’assemblea settimanale e riunioni organizzative dei piani per la pulizie degli spazi comuni, la manutenzione delle palazzine e le altre necessità.
La biblioteca ha avuto come prima funzione quella di offrire ai bambini dell’occupazione uno spazio per lo studio e per attività condivise. Dall’incontro con la biblioteca della scuola statale Falcone/Borsellino sono poi nate pratiche di scambio e co-organizzazione di iniziative ed eventi.
Molti abitanti del territorio hanno raccolto e donato libri e partecipano, insieme a tante mamme e giovani abitanti dell’occupazione, all’organizzazione delle attività: doposcuola, presentazione di libri, dibattiti, cineforum[12].
L’occupazione di viale delle Provincie ospita anche lo sportello per il reddito, uno spazio di organizzazione delle lotte, dove è possibile tra l’altro ottenere consulenza legale gratuita su casa, lavoro e salute.
Queste esperienze hanno contribuito a creare un legame sociale e comunitario che va oltre le occupazioni stesse, e che in questi giorni di emergencia a causa del Covid-19 si sta rivelando fondamentale anche nei territori, dove si sono attivati gruppi di mutuo soccorso.
Nella condizione di precarietà o di lavoro a nero in cui molti si barcamenano per sopravvivere, in mancanza di un piano di sostegno da parte del governo, le occupazioni stanno fungendo da veri e propri salvavita. Per quanto infatti la convivenza presenti spesso le stesse dinamiche rintracciabili nei più comuni condomini (dove tutto però viene delegato a un amministratore) lo sforzo degli abitanti con l’aiuto instancabile degli attivisti che vivono nelle occupazioni è sempre quello di trovare una via d’uscita ai problemi mettendo davanti a tutto una necessità comune: quella di doversi difendere dalle continue minacce di sgombero e di vincere la battaglia per il diritto all’esistenza.
Mentre il messaggio #iorestoacasa è diventato l’imperativo istituzionale per contenere il contagio, tutti quelli che non hanno una casa sono costretti a fare i conti con una condizione di ingiustizia, che li esclude da ogni garanzia minima. Proprio perché la casa rappresenta una questione di sicurezza sociale e non di ordine pubblico, in questi giorni complicati le occupazioni hanno deciso di dare un’indicazione di lotta alla città promuovendo la campagna: Andrà tutto bene con casa e reddito per tutt*![13]. Rilanciando insieme ad altre realtà in tutta Italia la battaglia per la sanità pubblica e per un reddito incondizionato, una misura indispensabile alla luce di una ricostruzione che si preannuncia senza precedenti.
Se il Coronavirus è, infatti, la tempesta perfetta per il “capitalismo dei disastri”[14] dobbiamo prepararci a contrastare le ricette da shock economy che lasceranno senza tutele decine di migliaia di persone, nei confronti delle quali verranno inasprite le politiche repressive e di controllo.
E mentre lo spazio collettivo urbano si è dissolto improvvisamente[15] oggi più che mai le occupazioni rappresentano uno spazio pubblico importante per tutta la città che dovrà resistere ancora più di ieri agli attacchi degli speculatori e alle ingiustizie.
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[1] Sotto un cielo di piombo. Il movimento di lotta per la casa a Roma (1961-1985)
[2] Blocchi Precari Metropolitani – Home
[3] Per reddito indiretto si intende l’accesso a beni e servizi sociali quali la casa, il trasporto pubblico, la sanità, la formazione
[4] Armati, C. (2015), La scintilla. Dalla valle alla metropoli, una storia antagonista della lotta per la casa, Fandango Libri, Roma.
[5] AA. VV. (2018) R/home. Diritto all’abitare dovere capitale, de Finis, G. e Di Noto I. (a cura di), Bordeaux edizioni, Roma.
[6] La storia dei rom di Metropoliz è raccontata da Militant A in Soli contro tutto: romanzo non autorizzato, Editori Internazionali Riuniti, 2014.
[7] AA.VV. (2015) Space Metropoliz. L’era delle migrazioni esoplanetarie, Boni F. e de Finis G. (a cura di), Bordeaux edizioni, Roma. Space Metropoliz
[8] AA. VV. (2017) MAAM Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz_città meticcia, de Finis G. (a cura di), Bordeaux edizioni, Roma.
[9] Tra gli eventi annuali più attesi c’è, tra maggio e giugno, il Mediterraneo Antirazzista, un’iniziativa in rete con le periferie di altre città (Palermo, Napoli, Genova, Milano, Bologna) che mette al centro lo sport come strumento per abbattere frontiere e costruire diritti.
[10] Scuola popolare di teatro
[11] Si tratta di 2 palazzine un tempo sede dell’Inpdai confluite nel Fip (Fondo immobili pubblici) e occupate nel dicembre 2012 in occasione del primo “tsunami tour per il diritto all’abitare”.
[12] Roma, la biblioteca per bambini e ragazzi nata dall’occupazione di Viale delle Provincie
[13] Marchini, R.: Casa e reddito per tutti: la campagna dei movimenti per il diritto all’abitare, in “Dinamopress”, 26 marzo 2020.
[14] FOCUS | Naomi Klein: Coronavirus Is the Perfect Disaster for Disaster Capitalism
[15] Caciagli, C.: Vivere senza spazi pubblici, in “Jacobin Italia”, 17 marzo 2020.
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Nota sugli autori
Irene Di Noto. Laureata in Scienze Politiche, ha conseguito un Master nella facoltà di Scienze della Comunicazione. Lavora nel campo della comunicazione e come educatrice di strada e dell’infanzia. Fa ricerca-azione sociale con i Blocchi Precari Metropolitani (BPM). Ê co-curatrice ed autrice del libro R/home diritto all’abitare dovere capitale (2018) e di vari articoli tra cui Roma: l’ospitalità occupata (2006).
Para citar este artículo: Irene Di Noto. La città pubblica (r)esiste! Crítica Urbana. Revista de Estudios Urbanos y Territoriales Vol.3 núm. 12 Derecho a la vivienda. A Coruña: Crítica Urbana, mayo 2020. |