Por Alessandra Esposito |
CRÍTICA URBANA N. 34 |
Le case degli altri è un saggio sulla turistificazione vista da Napoli, cioè da una città che fino agli inizi degli anni duemila era una città italiana non turistica.
È il quinto volume pubblicato dalla collana di studi urbani critici “Territori” (Editpress), per la quale sono stati pubblicati tra gli altri la traduzione italiana di “In defence of housing” di Madden e Marcuse, a cura di Barbara Pizzo, e la raccolta di testi di Sandra Annunziata “Oltre la gentrification”, a cura di ETICity. La ricerca percorre la strada aperta proprio da Annunziata, cioè l’approfondimento dei casi italiani di gentrificazione e displacement nel contesto sud europeo, e riprende in chiave urbanistica gli studi critici sul turismo, dai testi di Britton fino ai più recenti lavori di Agustín Cocola-Gant.
Al centro dell’analisi c’è l’azione combinata di turismo, capitalismo di piattaforma e rendita e come questa impatta sull’abitare. Osservare la turistificazione mentre accade per la prima volta, in una città ancora densamente abitata e con un mercato della casa non finanziarizzato, aiuta infatti a comprendere non solo quanto rapidamente il turismo contemporaneo e le piattaforme possono stravolgere i luoghi che investono, ma anche il ruolo centrale che la rendita svolge in tutti i processi di turistificazione, compresi quelli nel sud di Italia. Proprio il vecchio e mai risolto problema della rendita ci aiuta a smascherare le retoriche della città turistica come modello vincente, soprattutto quelle utilizzate dalle piattaforme. Come ogni rentier che si rispetti, infatti, turismo e piattaforme non producono nulla, aumentano il valore di mercato di ciò che esiste. Se il turismo vive della rendita del passato deprimendo l’economia urbana (più una città diventa turistica più si allontanano altre economie e fonti di reddito per gli abitanti), altrettanto fanno le piattaforme come Airbnb il cui modello economico si basa proprio sul rentierism. Entrambi, turismo e piattaforme, sono un problema di distribuzione di potere – economico e sociale – nello spazio, e in quanto tali possono essere resi oggetto di politiche urbanistiche, per quanto le istituzioni stentino a farlo.
Al titolo “Le case degli altri” sono attribuiti quattro diversi significati: le case degli altri intesi come abitant, cioè quei locals che Airbnb invita a imitare a partire dal dormire nelle loro case, fino al punto da renderle un bene di consumo dell’esperienza turistica proprio in quanto case degli abitanti; le case degli altri intese come le case abitate nel centro di Napoli dagli affittuari, quelli che da molte generazioni vivono nelle case di qualcun altro pagando l’affitto; le case degli altri intese come le ‘intoccabili’ case dei proprietari privati, quelle sulle quali lo Stato rinuncia a intervenire riformando il mercato dell’affitto; e in fine le case degli altri intese come i luoghi che visitiamo in veste di turistɜ, nei quali Airbnb ci invita a comportarci come fossimo a casa nostra. “Casa tua ovunque nel mondo” è infatti uno degli slogan più famosi di Airbnb e il suo logo si chiama Belò che sta per belong, appartenere. Una prospettiva, questa, profondamente colonialista che nega le asimmetrie di potere e il privilegio che esercita chi può varcare ogni confine senza essere respinto alle frontiere, comportandosi ovunque come nel proprio paese di origine o come in una sua propaggine versione parco-giochi.
Il successo e la non regolamentazione di Airbnb in Italia sono spiegati come conseguenze dirette delle due egemonie culturali che la piattaforma cavalca: la fede nel turismo come volano di sviluppo locale e quella nella casa in proprietà come strumento di arricchimento per le famiglie. La prima ci impedisce di mettere in discussione la necessità della crescita turistica, la seconda ci impedisce di porre un freno alla speculazione immobiliare. Entrambe sono il frutto delle politiche pubbliche del secondo novecento e sono state ribadite e sostenute con rinnovato vigore negli anni duemila. Esito delle politiche è la turistificazione stessa, che è descritta e interpretata come un risultato desiderato e ottenuto dalle istituzioni. In Italia non esistono infatti politiche di gestione del turismo ma solo politiche di investimento nella sua crescita. Portare il turismo di massa a Napoli e nel sud d’Italia è un obiettivo dichiarato delle istituzioni, perseguito con risorse pubbliche che puntano a coltivare una nuova costellazione di “destinazioni-prodotto” per l’industria turistica in espansione. Per questo è importante sottolineare che la turistificazione è un risultato atteso, frutto dell’alleanza tra le istituzioni pubbliche e il mercato, e non un “boom improvviso” come spesso viene riportato dalla stampa.
La turistificazione vista da Napoli ci ricorda inoltre che le città turistiche non sono luoghi deserti, non più abitati, per i quali non vale neanche più la pena di lottare, bensì città sovraffollate, abitate in modi insostenibili, i cui abitanti vengono costantemente espropriati del centro. Per quasi tutti i centri svenduti all’overtourism, esistono un resto della città che non vive di turismo e degli abitanti che ancora provano a resistere nel proprio quartiere turistificato[1]. Nel caso specifico di Napoli, gli abitanti sono radicati nel centro e convivono gomito a gomito con il turismo di massa. L’esodo forzato è in corso e mentre avviene quello a cui si assiste è un addomesticamento turistico di quartieri ancora molto poveri, nei quali la povertà viene spettacolarizzata e venduta come “esperienza autentica”. Quello che accade è lontano dall’estetica edulcorata della gentrificazione e accomuna Napoli a molte altre città del sud del mondo, nelle quali la povertà persiste e diventa parte dell’immaginario turistico. Per comprendere la turistificazione di Napoli bisogna quindi addentrarsi nella sua condizione abitativa, nelle sue disuguaglianze, così come nella nascita delle proteste locali contro la turistificazione[2].
Mentre il turismo divorava le prime case del centro di Napoli, Barcellona adottava il Plan especial urbanístico de alojamientos turísticos (PEUAT, 2017) e molte altre città cercavano di imporre limiti ad Airbnb, per lo più attraverso il blocco temporale degli annunci (il cosiddetto time-cap). Come attivistɜ della rete SET (Sud Europa di fronte alla Turistificazione) volevamo che Napoli apprendesse dall’esperienza delle altre città dotandosi di politiche anti-espulsione. Purtroppo, nonostante gli sforzi e le mobilitazioni, dal dialogo con le istituzioni non è mai scaturito alcun provvedimento che ponesse un freno alla turistificazione. Di questa esperienza fa riflettere soprattutto l’ostinazione con cui persino una città come Napoli, che ha avuto il tempo di vedere le altre soffrire di overtourism, le rincorre andando incontro alla stessa rovina. Questa ostinazione evidenzia che non si è mai realmente messo in discussione lo sviluppo turistico spinto fino alla monocoltura in Italia, nonostante le gravi conseguenze socio-ambientali che comporta per il territorio e l’assenza di concreti vantaggi economici per la popolazione: l’Italia è un paese sempre più turistico e sempre più povero, dove il reddito medio diminuisce mentre il costo della vita aumenta.
Il quadro culturale e politico in cui avviene la turistificazione di Napoli lascia dunque ben pochi spiragli per un’inversione di rotta nei prossimi anni. Nel libro l’analisi degli imperativi e delle retoriche sia delle istituzioni pubbliche sia di Airbnb, così come l’analisi del loro rapporto, tracciano un quadro scoraggiante all’interno del quale si denuncia il ruolo di imprenditore del turismo assunto dallo Stato, mettendo in discussione che la promozione turistica del territorio possa essere considerata uno dei mandati dell’azione pubblica. Si denuncia anche la falsa retorica di Airbnb e il suo lessico emotivo, che quasi scimmiotta quello di un ente del terzo settore che si occupa di politiche sociali, mascherando così l’attività reale della piattaforma, cioè alimentare le logiche della rendita.
Per quanto riguarda Napoli nella sua specificità, nonostante i proclami sulla necessità di alimentare il turismo per alleviarne la diffusa povertà urbana, a quasi dieci anni dal suo inizio è ormai evidente che il processo di turistificazione non è socialmente sostenibile perché non scardina l’estrema polarizzazione sociale della città ma anzi tende a spettacolarizzarla e acuirla, riproducendo e ampliando le disuguaglianze sociali.
Le case degli altri è quindi un libro che attraverso la riflessione critica riconoscere alle politiche pubbliche un grande potere e, sottotraccia, si chiede: cosa potrebbero fare le politiche pubbliche se desiderassero con altrettanta convinzione qualcosa di diverso dall’aumento del turismo?
Referencia
Esposito, Alessandra. Le case degli altri. La turistificazione del centro di Napoli e le politiche pubbliche al tempo di Airbnb. Firenze: Editpress, 2023. ISBN 9791280675279.
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Notas
[1] https://www.dinamopress.it/news/napoli-una-citta-sottratta-agli-abitanti/
[2] https://www.fanpage.it/napoli/sfrutta-napoli-cosi-il-turismo-sta-aggredendo-la-citta-anche-le-case-del-comune-diventano-bnb/
Nota sull’autore
Alessandra Esposito. Architetta, urbanista e attivista della rete SET (Sud Europa di fronte alla Turistificazione). Dal 2016 si occupa di turistificazione, rendita e trasformazioni urbane. Attualmente è assegnista di ricerca alla Sapienza di Roma dove si occupa di politiche abitative. È autrice di “Le case degli altri. La turistificazione del centro di Napoli e le politiche pubbliche al tempo di Airbnb” (Editpress) e tra le curatrici di “Oltre la monocoltura del turismo. Per un atlante delle resistenze e delle contro-progettualità” (Edifir).
Para citar este artículo:
Alessandra Esposito. Le case degli altri. Una lettura critica della turistificazione di Napoli al tempo di Airbnb. Crítica Urbana. Revista de Estudios Urbanos y Territoriales Vol. 7, núm. 34, Más allá del pensamiento hegemónico. A Coruña: Crítica Urbana, diciembre 2024.