Por Alessandra Caputi |
CRÍTICA URBANA N. 33 |
Negli anni Settanta del secolo scorso, in un’epoca in cui non si era ancora diffusa una coscienza ambientalista in Italia, avvennero in Campania, una regione del Sud Italia, alcune significative battaglie. Esse furono condotte con straordinaria tenacia e senso civico da alcune associazioni e comitati che miravano a difendere il paesaggio, il patrimonio culturale e la salute pubblica.
Queste storie esemplari sono narrate nel libro Storie di resistenza ambientale. La tutela di Napoli e della costa campana negli anni Settanta, edito da Rubbettino (2022). La loro ricostruzione si è avvalsa dell’esame di documenti quasi esclusivamente inediti, contenuti in quattro archivi napoletani: l’Archivio Elena Croce e l’Archivio Alda Croce, custoditi presso la Fondazione Biblioteca Benedetto Croce, la Raccolta Antonio Iannello, conservata presso il Comune di Napoli, e l’Archivio dei beni immobili vincolati di Napoli, custodito presso la Soprintendenza di Napoli. Altrettanto importante ai fini di questo lavoro è stato lo studio di alcune sentenze della magistratura civile e penale, che ha consentito di chiarire meglio alcuni passaggi-chiave delle battaglie in questione.
Contesto storico
Dopo la Seconda guerra mondiale l’Italia decise di puntare sull’edilizia come settore trainante dell’economia. A Napoli, rispetto a quanto si era verificato in altre città europee, i bombardamenti bellici non avevano prodotto ferite particolarmente gravi nel tessuto storico[1]. Nonostante ciò, a partire dagli anni Cinquanta la città fu travolta da una frenetica attività edilizia. La ricostruzione fu strumentalizzata e piegata agli interessi della speculazione: in una prima fase i costruttori urbanizzarono le colline verdi e le aree agricole intorno al centro storico e, successivamente, provarono a demolire e ricostruire quest’ultimo. A questa dissennata stagione, che si concluse dopo oltre un ventennio, il regista Francesco Rosi dedicò il celebre film “Le mani sulla città” (1963).
Tra il 1946 e il 1972 furono realizzati in città 600 mila vani illegali: migliaia di fabbricati, costruiti in spregio alle norme urbanistiche, presero il posto di frutteti, orti, giardini, accerchiarono edifici storici, monumenti e siti archeologici. Napoli mutò rapidamente volto e si ritrovò alle prese anche con gravi problemi di dissesto idrogeologico. In pochi anni si registrarono migliaia di smottamenti a causa dei cantieri edili che spesso sorgevano in zone franose e in assenza di una rete fognaria adeguata.
Nel 1967 fu approvato il progetto di costruzione della Tangenziale, la prima autostrada urbana italiana, che penetrò con i suoi svincoli e i suoi piloni nella trama urbanistica rovinando il paesaggio collinare intorno al centro storico, senza risolvere l’annoso problema del traffico veicolare.
Intanto, con l’espansione delle aree industriali a Est (stabilimento petrolchimico Mobil Oil) e a Ovest (acciaieria Italsider, cementificio Cementir), la città fu stretta in una morsa di inquinamento i cui livelli diventarono insostenibili: la popolazione fu costretta a convivere con le emissioni delle ciminiere, con gli scarichi in mare di sostanze nocive e con rumori assordanti.
L’assalto della speculazione trovò sempre l’avallo della classe politica locale e nazionale, in particolare della Democrazia Cristiana. A seconda dei casi, ne furono protagonisti soggetti pubblici e privati: piccoli e grandi costruttori locali, società straniere, grandi aziende di Stato (InfraSud, Italsider) e persino l’Università.
I protagonisti
Protagoniste di questa tenace resistenza contro la cementificazione del territorio e l’inquinamento industriale furono Italia Nostra[2] e il Comitato per la difesa ambientale del Mezzogiorno[3].
Le principali figure che animarono le iniziative di queste associazioni furono l’urbanista Antonio Iannello, presidente della sezione napoletana di Italia Nostra, e le sorelle Alda e Elena Croce, figlie del filosofo Benedetto Croce, entrambe scrittrici e traduttrici. Legati, oltre che dall’impegno civile, anche da una grande amicizia, essi agirono sempre in sinergia e con una precisa divisione dei ruoli.
Antonio Iannello, era la testa d’ariete: monitorava il territorio, denunciava le attività edilizie illegali, partecipava alle riunioni tecnico-istituzionali in materia urbanistica, elaborava strategie politiche.
Elena Croce era una donna coltissima, dotata di un’autorevolezza e di un carisma fuori del comune. Pubblicava articoli di denuncia, diffondeva appelli e, ricorrendo alla sua prestigiosa rete di contatti istituzionali, faceva da ponte tra il mondo della cultura italiana, la classe politica e i comitati ambientalisti.
Alda Croce era la vera regista di queste battaglie. Seguiva minuziosamente le vertenze legali, curava i rapporti con avvocati, ingegneri, giornalisti, soprintendenti, prefetti ecc., pianificava le riunioni, e faceva tutto questo restando accuratamente dietro le quinte, rifuggendo ogni apparizione pubblica.
Il loro modus operandi era collaudato, dall’organizzazione di convegni e manifestazioni, alla partecipazione a riunioni istituzionali, alla conduzione di azioni legali.
All’analisi e alla denuncia gli ambientalisti facevano seguire sempre la elaborazione di una o più proposte, frutto anche del confronto e dell’apporto generoso di esperti e tecnici.
Vittorie e sconfitte
Le sette battaglie illustrate nel volume ebbero luogo a Napoli, in Costiera amalfitana e in Cilento.
Tre furono quelle a lieto fine: quella per la salvaguardia di un celebre sito archeologico a Posillipo, dove oggi sorge il Parco Archeologico di Pausilypon; quella per la difesa della Costa della Masseta, un ampio e incontaminato tratto di litorale nei pressi di Scario, oggi incluso nel Parco nazionale del Cilento; quella per l’approvazione di un nuovo piano regolatore a Napoli nel 1972, che vincolò l’intera città storica e le aree verdi superstiti.
Quest’ultima battaglia fu determinante per la salvezza del centro storico più grande d’Europa. Nel 1970 il Comune aveva adottato un piano che avrebbe consentito di sventrarlo, ad eccezione di una ristretta area compresa all’interno delle mura aragonesi. I costruttori puntavano a realizzare al suo posto quartieri di edilizia moderna. Per legittimare tale operazione si faceva leva sull’opinione che il centro storico versasse in condizioni di tale degrado da non poter essere riscattato con un progetto di restauro: una posizione condivisa soprattutto dalla borghesia, che aveva accumulato immense fortune con la speculazione fondiaria. In realtà, come denunciava Iannello, costruttori e politici tentavano spudoratamente di ingenerare confusione tra questione edilizia e questione sociale. Se i quartieri storici fossero stati sostituiti da edilizia moderna, infatti, gli abitanti più poveri sarebbero stati espulsi e sostituiti da abitanti più ricchi. Nei mesi durante i quali il piano fu esaminato dai tecnici del Ministero, Iannello partecipò in qualità di esperto ai lavori ed ebbe carta bianca per inserire modifiche al documento. Egli allargò il perimetro delle aree da vincolare da 127 a 750 ettari, estendendolo a tutto ciò che era stato edificato fino ai primi decenni del Novecento.
Parzialmente vinte furono altre due battaglie: quella contro due svincoli della tangenziale, che la società costruttrice Infrasud accettò di modificare, in base alle proposte degli ambientalisti, per salvare il vallone dello Scudillo e l’area archeologica della Via Campana, e quella contro la costruzione di un mega albergo abusivo a Fuenti, in Costiera amalfitana.
Le sconfitte riguardarono invece la distruzione della collina di Monte Sant’Angelo (periferia Ovest di Napoli), a causa di una speculazione intrapresa dall’Università, e la mancata delocalizzazione delle industrie di Bagnoli, prevista dal piano del 1972 e mai attuata
Antonio Iannello, Alda e Elena Croce hanno fatto da apripista alla formazione di una coscienza ambientalista nel nostro Paese e sono stati pionieri nel cogliere le connessioni tra questioni ambientali e sociali. Compresero il ruolo centrale dell’urbanistica, intesa come un’operazione di interesse collettivo in grado di attenuare le disuguaglianze. Le loro battaglie furono lungimiranti e per certi aspetti sono ancora attuali. Basti pensare che nel 2019 il Comune di Napoli ha finanziato uno studio di fattibilità (500 mila euro) per costruire uno svincolo della tangenziale allo Scudillo: un progetto molto simile a quello che fu bloccato negli anni Settanta grazie all’intervento di Italia Nostra y del Comitato per la difesa ambientale del Mezzogiorno[4].
Le vittorie e le sconfitte riportate dagli ambientalisti sono altrettanto importanti da ricordare. Se ancora oggi, infatti, possiamo fruire di alcuni siti di straordinaria bellezza, non lo dobbiamo al caso, ma all’impegno civile di coloro che si sono battuti per preservare il bene comune. Le sconfitte testimoniano invece che essi non si perdevano mai d’animo di fronte al potere della speculazione e cercavano di difendere l’ambiente anche quando sapevano di poter perdere, liberi «dall’ossessione dell’insuccesso”[5].
Conservare e tramandare la memoria storica di queste lotte può essere utile per comprendere meglio il presente e, perché no, per ispirare coloro che vorranno continuare a difendere il bene pubblico.
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Notas
[1] Napoli fu la città più bombardata in Italia, ma i danni si limitarono soprattutto ai quartieri antistanti il Porto, alla Stazione e all’area industriale orientale. Il 4 agosto 1943 avvenne il bombardamento più eclatante, che provocò la distruzione della chiesa di Santa Chiara.
[2] Fondata a Roma nel 1955 da un gruppo di intellettuali, fu la prima associazione ambientalista italiana dell’età repubblicana.
[3] Nacque nel 1969 da una costola di Italia Nostra, al fine di contrastare in maniera più tempestiva gli scempi che si andavano moltiplicando sul territorio.
[4] Cfr. A. Caputi, A. Fava, Crìtica Urbana n. 9, 2019, pp. 35-39.
[5] Antonio Cederna, in A. Caputi, Storie di resistenza ambientale, p. 37.
Nota sull’autore
Alessandra Caputi. Ricercatrice indipendente, autrice di Storie di resistenza ambientale (2022) e, con Anna Fava, di Privati di Napoli. La città contesa tra beni comuni e privatizzazioni (2023). Si occupa della storia ambientale e urbanistica di Napoli e degli archivi del movimento ambientalista italiano. È membro di Italia Nostra e della rete SET (South Europe facing Touristification).
Para citar este artículo:
Alessandra Caputi. Napoli ieri e oggi. L’eredità delle battaglie ambientaliste degli anni Settanta. Crítica Urbana. Revista de Estudios Urbanos y Territoriales Vol. 7, núm. 33, Memoria y ciudad. A Coruña: Crítica Urbana, septiembre 2024.